GLI ANTICHI AFFRESCHI DI MINTURNO
ATTRIBUITI ALL’ALLIEVO DI GIOTTO ROBERTO D’ODERISIO
Le Chiese di Minturno potrebbero custodire preziose testimonianze pittoriche della seconda metà del Trecento attribuibili alla Bottega di Roberto d’Oderisio, allievo napoletano di Giotto. Se l’ipotesi sarà confermata, il Sud pontino si arricchirà di un’importante testimonianza artistica. Ad annunciare quella che si presenta come una clamorosa scoperta è lo studioso Antonio Petruccelli di Minturno che presenterà il 21 aprile prossimo alle ore 18,30 nella Chiesa dell’Annunziata della città il suo contributo critico dal titolo: Roberto d’Oderisio – Ricostruzione storico-artistica del Magistro formatosi alla Scuola di Giotto alla Corte Angioina di Napoli nel XIV secolo, edito dalla editrice ILGRANDEBLU. Il volume sarà introdotto e commentato dal professore di storia dell’arte Maurizio Vitalone.
L’ipotesi di attribuire al D’Oderisio alcuni affreschi delle Chiese di San Pietro Apostolo, San Francesco e dell’Annunziata, è sostenuta, scrive Petruccelli, da un documento del Codex Diplomaticus Cajetanus fin qui sfuggito all’attenzione degli storici dell’arte, che conferma nel nostro territorio, corrispondente all’antica Contea di Fondi, la presenza dell’artista napoletano durante la seconda metà del XIV secolo. Di Roberto D’Oderisio, infatti, si conosce una sola tavola certa, la Crocifissione di Eboli, l’unica tra l’altro firmata dal pittore e poche altre opere che i maggiori critici del Novecento, come B. Berenson, A. O. Quintavalle, O. Morisani, G. B. Bologna e P. L. De Castris hanno potuto attribuirgli, ma limitatamente alla prima metà del XIV secolo. Restava fuori dal catalogo un lungo periodo, di circa un trentennio, della seconda metà del secolo, in cui si erano perse completamente le sue tracce, anni terribili in cui la peste e la carestia devastarono l’Italia. Lo studioso minturnese, sulla scorta dei pochissimi documenti disponibili, di accurate osservazioni e puntuali riscontri iconografici ‘sul campo’, ha ricostruito gli stilemi tipici del Magistro napoletano, ritrovandoli in opere fin qui mai a lui attribuite, come la Virgo Lactans di Gaeta, già indicata come opera di un anonimo napoletano del XIV secolo.
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