giovedì 4 ottobre 2012

Sermoneta(LT),Coriddi presenta il Romanzo (vedi LIBRI)

Sermoneta(LT),Coriddi presenta il Romanzo

Sabato 6 ottobre presentazione del romanzo
“La notte d’addio” di Eligio Coriddi
Sermoneta - Palazzo della Cultura ore 18
Sabato 6 ottobre, alle ore 18 presso il Palazzo della Cultura di Sermoneta (Corso Garibaldi), con il patrocinio del Comune di Sermoneta sarà presentato il romanzo dello scrittore sermonetano Eligio Coriddi dal titolo “La notte d’addio” (Casa editrice Vertigo). Coriddi, 31 anni, vive e lavora a Latina come disegnatore tecnico meccanico. Questo è il suo esordio letterario.
Un romanzo intenso, con quattro protagonisti: Francesco e Claudia, Giorgio e Sara. Due coppie nate per caso, dopo un divertente abbordaggio tentato dai ragazzi in spiaggia. Francesco è un anticonformista, vive la vita in modo pieno e vitale, nutrendosi della passione per la fotografia, che riesce a trasmettere anche a Claudia, insoddisfatta del proprio lavoro e troppo legata a Sara nelle scelte di vita. Giorgio è del tutto assorto nella sua carriera, che lo porta a viaggiare all’estero ogni settimana, mettendo la sfera privata in secondo piano. Questo logora il rapporto con Sara, che però sopporta, nella speranza che in futuro le cose migliorino. Quale sarà il verdetto del tempo? Reggeranno le due coppie agli urti della vita? Un romanzo sull’amore e l’amicizia, e su quelle scelte che fanno soffrire, maturare e riflettere. Quelle scelte che a distanza di anni ci tengono ancora svegli la notte a chiederci: “era davvero la cosa giusta da fare?”. Il libro è in vendita nelle migliori librerie on-line e, in tutte le librerie italiane che hanno come distributore PDE s.p.a. Al termine della presentazione sarà possibile acquistare il libro.

venerdì 13 aprile 2012

Latina, lo scrittore Graziosetto sul Trasformismo

Graziosetto ospite a
«La Feltrinelli» di Latina
L’ITALIA del secondo ottocento entra di prepotenza nella storia ragionata che lega passato e presente e tenta di capire
il perché delle scelte degli uomini che allora contarono. Gli effetti dell’unità d’Italia, nel focus su Francesco Crispi,
sono al centro dell’ultimo libro di Michele Graziosetto, la cui presentazione è in programma, a Latina, alle 18,00 del giorno 19 aprile, presso la libreria Feltrinelli. Saranno presenti, oltre all’autore di Francesco Crispi.
La religione della patria nella stagione del trasformismo», Paolo Norcia, Alfonso Malinconico, Guido Palamenghi Crispi. Un’occasione culturale di alto profilo si prospetta per meditare sul concetto «trasformismo » politico così come si attuò  fine ottocento e si ripresentò a metà novecento.
Che cos’è il trasformismo per Michele Graziosetto?
Fu evento necessario e ineludibile? Che relazioni ebbe con il connubio Cavour-Rattazzi?
Quale fu il ruolo dei partiti  nel trasformismo inaugurato da Depretis?
Quali le scie lasciate nella politica italiana del secondo dopoguerra?
Tutte domande a cui sarà data risposta nella conversazione di oggi, mentre ad incorniciare l’evento si porranno altre riflessioni sullo stato della politica di oggi con le sue metamorfosi e voltafaccia, in cui nulla è scontato e tutto può succedere da un momento all’altro senza che ci sia alcun nesso logico o rapporto di causa-effetto tra il prima e il
dopo.
Interessante la prefazione del libro curata da Ennio Di Nolfo, nell’edizione Rubettino 2011.
Ed.Latina oggi-Zapping a cura di Mina Picone

domenica 1 aprile 2012

Allievo di GIOTTO autore di Affreschi in MINTURNO(LT)?

GLI ANTICHI AFFRESCHI DI MINTURNO
ATTRIBUITI ALL’ALLIEVO DI GIOTTO ROBERTO D’ODERISIO
Le Chiese di Minturno potrebbero custodire preziose testimonianze pittoriche della seconda metà del Trecento attribuibili alla Bottega di Roberto d’Oderisio, allievo napoletano di Giotto. Se l’ipotesi sarà confermata, il Sud pontino si arricchirà di un’importante testimonianza artistica. Ad annunciare quella che si presenta come una clamorosa scoperta è lo studioso Antonio Petruccelli di Minturno che presenterà il 21 aprile prossimo alle ore 18,30 nella Chiesa dell’Annunziata della città il suo contributo critico dal titolo: Roberto d’Oderisio – Ricostruzione storico-artistica del Magistro formatosi alla Scuola di Giotto alla Corte Angioina di Napoli nel XIV secolo, edito dalla editrice ILGRANDEBLU. Il volume sarà introdotto e commentato dal professore di storia dell’arte Maurizio Vitalone.
L’ipotesi di attribuire al D’Oderisio alcuni affreschi delle Chiese di San Pietro Apostolo, San Francesco e dell’Annunziata, è sostenuta, scrive Petruccelli, da un documento del Codex Diplomaticus Cajetanus fin qui sfuggito all’attenzione degli storici dell’arte, che conferma nel nostro territorio, corrispondente all’antica Contea di Fondi, la presenza dell’artista napoletano durante la seconda metà del XIV secolo. Di Roberto D’Oderisio, infatti, si conosce una sola tavola certa, la Crocifissione di Eboli, l’unica tra l’altro firmata dal pittore e poche altre opere che i maggiori critici del Novecento, come B. Berenson, A. O. Quintavalle, O. Morisani, G. B. Bologna e P. L. De Castris hanno potuto attribuirgli, ma limitatamente alla prima metà del XIV secolo. Restava fuori dal catalogo un lungo periodo, di circa un trentennio, della seconda metà del secolo, in cui si erano perse completamente le sue tracce, anni terribili in cui la peste e la carestia devastarono l’Italia. Lo studioso minturnese, sulla scorta dei pochissimi documenti disponibili, di accurate osservazioni e puntuali riscontri  iconografici ‘sul campo’, ha ricostruito gli stilemi tipici del Magistro napoletano, ritrovandoli in opere fin qui mai a lui attribuite, come la Virgo Lactans di Gaeta, già indicata come opera di un anonimo napoletano del XIV secolo.        

lunedì 19 marzo 2012

Docente minturnese presenta il Libro su ‘I vecchi Mestieri’ nel Salone del Palazzo comunale di Roccasecca dei Volsci

‘I VECCHI MESTIERI’, un volume scritto da Federico Galterio,è stato presentato presso il Salone del Palazzo comunale di Roccasecca dei Volsci domenica 18 marzo 2012...per conservare quel prezioso patrimonio di cognizioni...
Con questa iniziativa l’Amministrazione Comunale, insieme all’Assessorato regionale all’Area Politiche di Sviluppo Enti Locali, ha voluto riportare alla luce mestieri antichi, scomparsi, rari da trovare o mutati nel tempo perché i giovani possano avere la conoscenza e la consapevolezza delle fatiche dei loro padri, dei loro nonni. La prefazione è dello scrittore Michele Graziosetto che ha voluto mettere in rilievo l’epoca di trasformazioni i cui confini si dilatano ogni giorno sempre piu’, ha voluto sostenere un libro che guarda al recupero delle memorie (e soprattutto di ricostruzioni di arti e mestieri) che non ci puo’ lasciare ne’ indifferenti ne’ insensibili. “ Il libro di Federico Galterio e’ come una sorta di laccio che ci tira da un’altra parte non appena ne sfogliamo le pagine. Con esso si rivivono le fatiche dei nostri progenitori, le lunghe giornate a far la spola per trasportare una cesta dalla campagna alla propria abitazione”...

 E’ intervenuto il giornalista Paolo Mastrantoni autore di un libro che analizza l’ulivo e l’olio dei Monti Lepini. La presentazione dell’Incontro con gli autori è stata dell’Assessore alla Pubblica istruzione e Barbara Petroni quale Sindaco del centro Ausono di Roccasecca dei Volsci. L’ospite principale del pomeriggio culturale è stato il prof. Federico Galterio che da anni vive ed insegna nella scuola media di Minturno, che ha percorso brevemente il piacere ed il sacrificio per ricomporre le notizie storiche e tradizionali per comporre il libro, non dimenticandosi che suo padre, il maestro Baldo Galterio, lo ha guidato, lo ha consigliato. E’ stato Mastrantoni a commentare il testo che è uno dei tasselli per la ricostruzione di un centro agricolo il Sindaco Petroni a ringraziare l’autore per aver conservato le memorie di un Mondo vicino nel tempo, ma lontano nella memoria. L’autore ha interpretato componimenti poetici di sua figlia Federica Galterio e della poetessa Maria Cardi, invitando al tavolo dei relatori una giovane poetessa locale, Franca Petroni, ad interpretare una sua Poesia. Inoltre il Galterio ha evidenziato che la Scuola con la S maiuscola è l’Agenzia competente che più di ogni altra Istituzione pubblica può intervenire e collaborare con autori, con ricercatori appassionati della storia locale. Il testo si presenta volume adatto per approfondire abitudini, consuetudini del primo decennio del dopoguerra, pertanto approderà in altre scuole pontine per creare un Laboratorio in rete. Al termine dell’Incontro gli artisti Di Ruocco e Luca Farelli hanno illustrato la tecnica ed il materiale per realizzare le opere d'arte esposte nel Salone ed il gruppo di visitatori infine si è recato nel nell’ex frantoio dove sorgerà il Museo dell’Olio e dell’Olivo.
Espositori artigianali per l'occasione:
 De Meo,  Vitelli, Ponticiello, Di Ruocco,Cardi.
 
 

 
 
 

martedì 28 febbraio 2012

Alatri(FR),"Premio al Lettore... per il piacere di leggere"

"Premio al Lettore... per il piacere di leggere"
ALATRI
Sala Conferenze Biblioteca Comunale
Sabato 3 Marzo 2012 ore 11,00
Il lettore al centro dell'universo biblioteca
Il lettore al centro dell'universo biblioteca. Questo è lo scopo del progetto "Premio al lettore per il piacere di leggere..." che ha come obiettivo finale quello di premiare i lettori più assidui ed i libri più letti delle biblioteche afferenti al Sistema Bibliotecario e Documentario "Valle del Sacco", nel corso dell'anno 2011. In ogni biblioteca che ha aderito al progetto, avranno luogo eventi durante i quali verranno premiati, con buoni acquisto libri, il miglior lettore ed il testo più letto.
Ad Alatri, l’evento si terrà Sabato 3 marzo alle ore 11,00 presso la Sala Conferenze della Biblioteca Comunale “ Luigi Ceci”.
Sono stati selezionati, tra gli utenti della biblioteca, coloro che nel corso dell’anno 2011 hanno preso in prestito più libri  tra gli adulti ( Premio Senior) e tra i ragazzi ( Premio Junior).
Parteciperà il Presidente del Sistema Bibliotecario e Documentario Valle del Sacco,Danilo Collepardi, saranno presenti  il Sindaco di Alatri, Giuseppe Morini e il Consigliere Delegato alla Cultura, Carlo Fantini.
Parallelamente si valorizza l'attività "quotidiana" delle biblioteche, si analizza il loro centro vitale costituito da quei servizi specifici come il prestito, il referente e l'assistenza bibliografica, nonché l'interazione attiva del bibliotecario con un'utenza variegata per interessi e fasce d'età.
Il progetto pone l'accento proprio su quegli utenti che danno vita alla biblioteca, la alimentano con le loro richieste, con i loro desiderata e con i loro giudizi; quei lettori insomma che, attraverso le loro scelte bibliografiche, determinano la fortuna di un libro all'interno del circuito-Sistema e che, a loro volta, diventano destinatari del premio stesso attraverso la loro assidua lettura.
Il 23 aprile 2012 si terrà l'evento conclusivo che vuole essere l'inizio di un percorso da tracciare per gli anni futuri.

mercoledì 22 febbraio 2012

'I Vecchi MESTIERI' di Federico Galterio


Parte della Pubblicazione de 'I Vecchi Mestieri'. Dicembre 2011,
Tip. Selene Latina, ISBN 9788890593338
PREFAZIONE
In un’epoca di trasformazioni i cui confini si dilatano ogni giorno sempre più, un libro di recupero delle memorie (e soprattutto di ricostruzioni di arti e mestieri) non ci può lasciare nè indifferenti nè insensibili.   E’ forse il modo più autentico per ritessere quei legami tra generazioni che in ogni istante si assottigliano sempre più, vuoi perchè siamo distratti dalle nuove tecnologie, vuoi perchè per la vita di ciascuno i tempi si fanno troppo stretti, le ore si sciolgono nelle nostre mani senza che ce ne rendiamo conto per correre dietro alle mille occupazioni o familiari o sociali. Il libro di Federico Galterio è come una sorta di laccio che ci tira da un’altra parte non appena ne sfogliamo le pagine.  Riviviamo le fatiche dei nostri progenitori, le lunghe giornate a far la spola per trasportare una cesta dalla campagna alla propria abitazione. Ogni gesto, ogni opera è un atto di socialita’ condivisa, perchè in ognuno c’è la consapevolezza che altri aspettano la fine del nostro lavoro perchè qualcun altro possa riprenderlo là dove ci si era fermati. È un libro che nel suo intimo intento ci vuole ridire che quella era una concertazione di volontà collettive, ove i figli si avvinghiavano ai padri e questi a quelli per una promessa continua di sopravvivenza, vissuta con una fede religiosa semplice ma incrollabile. Il lavoro e le ore liete, il sudore mescolato con le poche e fugaci gioie campagnole: questa era l’Italia di appena un secolo fa e anche meno. Il libro si dipana con la trascrizione quasi certosina degli strumenti linguistici originali e recuperati dall’Estensore grazie alla tradizione orale e, in seconda battuta, su quella scritta. I riferimenti sono corredati anche da proverbi e, di tanto in tanto, collegati ai vari temi da poesie, a testimonianza di una vivace tessitura del lavoro ricostruttivo messo in atto dall’Autore. Certo, dopo la lettura della lavorazione delle olive, credo sarebbe opportuno inviare ai giovani un messaggio di questo tipo: sarebbe meglio una bruschetta (di pane di grano di antica macinatura) inzuppata di olio extravergine  del nonno che una spalmata di nutella. Attraverso la riproposizione di un mondo sano e genuino l’Autore ha compiuto un atto d’amore nei confronti della gente della sua terra.
Scrittore Michele Graziosetto
TRADIZIONI
Le tradizioni che hanno caratterizzato e caratterizzano ancora Roccasecca dei Volsci sono “semplici”, fatte di gesti e di riti quotidiani, tanto da suscitare la curiosità e l’interesse di coloro che vanno in cerca di cose nuove, di cose rare. Ho cercato di scavare, di penetrare nei ricordi più lontani, nella memoria dei più anziani, dei nonni del paese, durante gli anni universitari, per riportare alla luce quelle usanze, quelle tradizioni che per i nostri antenati sono state le cose più belle della loro vita, che hanno suscitato in loro tante attese, tante gioie e tante speranze. Esse hanno avuto il potere di rompere, sia pure di tanto in tanto e, per breve tempo, la monotonia della vita paesana. Il piccolo centro collinare, allora privo di ogni conforto, di ogni servizio sociale, ha trovato nelle tradizioni quei motivi capaci di rendere la vita bella, socializzante e il lavoro, non una condanna, ma fonte di benessere e di gioia per tutti. Va un sentito ringraziamento a Giuseppe
Papi, cultore di storia locale, col quale abbiamo condiviso l’interesse, l’amore per il Paese,che mi ha fatto rispolverare, rivivere e pubblicare uno dei “sogni” che conservo nel mio cassetto.
L’Autore
INTRODUZIONE
I vecchi mestieri del dopoguerra non sono più nella memoria del popolo. Con la presente documentazione descrittiva e fotografica miro a far rivivere negli anziani, a far affascinare i giovanissimi, a far apprezzare la fatica, la saggezza e l’impegno dei nostri nonni che, con semplicità, affrontavano le difficoltà della vita del momento storico. In una economia come quella del dopoguerra nei paesi di collina, rare erano le possibilità di scelta del mestiere, se non il frantoiano, la fornaia, il mugnaio, il mietitore, la tessitrice, il porcaio, che descrivo in questa pubblicazione...

IL TUANARO 1
La ‘tuana’ era una mandria di maiali, il ‘tuanàro’ era il porcaro, ovvero, il guardiano.
Il ‘tuanàro’, ogni anno, la sera della vigilia di S.Lucia, ossia la sera del 12 dicembre, ‘ficeva ittàne
gli banno dagli guardiano dogli Comune’, cioè incaricava il banditore comunale a rendere
noto alla popolazione, per le strade e piazze, l’inizio del suo nuovo anno pastorizio (dal 13 dicembre al 12 dicembre dell’anno successivo). Le massaie, le donne che avevano il governo della casa (in paese, allora, erano quasi tutte), allevavano uno o due maialetti da ingrassare e poi da macellare. Dai primi mesi di vita, dopo lo svezzamento, la massaia portava il suo maialetto alla ‘tuana’, cioè affidava il suo maialetto ogni giorno, dalla mattina alla sera, al porcaro, fino al mese di ottobre...
Scrofa che allatta i maialini

1 Il Tuanaro era il guardiano della mandria di maiali.

IL MONDANO e il Mondanaro
Frantoio e Frantoiano
(dal Racconto inedito dal titolo: “Una Maestra al primo contatto con la Realtà contadina”
...Siamo negli ultimi giorni di ottobre. I contadini hanno cominciato araccogliere le prime olive fatte cadere dal vento: non sono ancora mature, sono verdi e soltanto qualcuna è violacea o nero-lucida. Nonostante la resa assai scarsa, le contadinelle sono affaccendate e riportano a casa, sera per sera, cesti e piccoli sacchetti di olive. La campagna olearea è ormai iniziata. I ‘mondani’ 6, a trazione animale, sono aperti, hanno incominciato il loro lavoro. Chi passa per i vicoli si sente attratto da questa attività, dal rumore delle macchine, dal tric-trac della ‘pressa’, dalla nuvola di vapore della caldaia che esce da una piccola finestra e dall’odore della ‘ciancia’ 7 che invade l’ariadella zona vicina. Mentre i ‘mondanari’ sono intenti a lavorare, i contadini si siedono vicino alla ‘fornella’, cioè al fuoco che manda in ebollizione l’acqua di una grossa caldaia di rame, della capacità di circa 250 litri. Gli occhi dei presenti sono rivolti all’acqua bollente con ‘gli buzzonetto’
8 che viene versata sulle sporte di strame9 o di cordicelle, poste sotto la pressa, e nell’‘agnolo’ 10
dove viene separato l’olio puro dalla ‘morca’ 11...

6 Mondani: frantoi per macinare le olive.
7 Ciancia: sansa.
8 Buzzonetto: mestolo grosso di rame, rivestito di stagno con manico corto di
ferro, per prendere l’olio dall’ ‘agnolo’ o per attingere acqua bollente.
9 Sporte di strame: dischi di ampelodesma.
10 Agnolo: botte disposta con uno dei fondi aperti in alto.
11 Morca: acque reflue dell’olio.


DALLA SEMINA AL TELAIO
Come introduzione a questo lavoro di ricerca, ho voluto riportare i versi semplici, ma assai descrittivi, del poeta E. Pesce Gorini:
“Il fiore azzurro”
Disse un bel fiore azzurro:
“Il vento mi carezza
con un lieve sussurro;
l’aurora mi regala
brillanti di rugiada,
che il calore del sole poi dirada.
Non profumo gli altari
né mi recano in dono,
in giorni lieti e cari, i bimbi e le fanciulle, sullo stelo fiorisco,
specchio l’azzurro cielo e poi finisco.
E mi tramuto in tela
candidissima e molle,
per l’altare e la vela,
per bendare le ferite
e fasciare il bambino
nudo, nella sua culla:
io sono il lino!”.

LA LAVORAZIONE DELLA LANA
NEI TEMPI ANDATI
Dal vello al vestito
Prima di iniziare la narrazione ci sembra di sentire già l’eco dei versi del poeta Gabriele  D’nunzio, anche se con finalità e intendimenti diversi:
I pastori
“Settembre, andiamo. E’ tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzo i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
che verde ê come i pascoli dei monti.”
Nei tempi andati, prima di iniziare la tosatura, anche i pastori dei miei monti, delle mie colline,  delle mie campagne portavano il gregge al fiume e lo facevano bagnare più volte per togliere dal vello i residui di letame, di grasso, di terriccio, ecc. Essendo le pecore restìe ad entrare nell’acqua, il pastore spingeva, innanzitutto, la mandria a superare l’ostacolo, immergersi nel fiume portandosi il montone, che, a sua volta, serviva ad attirare tutte le pecore del gregge per rendere più agevole
l’operazione. Quelle che non si lasciavano adescare dall’astuzia del pastore, venivano prese di forza e buttate nell’acqua. Le pecore si tosavano sempre nel mese di maggio e la lana veniva subito aggrovigliata e messa nei sacchi. Qualche giorno dopo la massaia, con le mani, la ‘spizzicava’
per togliervi le ‘lappe’ (piccole bacche pungenti) ed altri elementi eterogenei che col bagno in acqua, non erano andati via. Più tardi, in epoca più vicina a noi, questo lavoro veniva fatto dai cardatori in dialetto ‘scardalani’, che giravano per i paesi con una macchina-cardatrice portatile. Con questa operazione la lana veniva divisa in ‘lanata’, in pennacchi, cioè in batuffoli che si avvolgevano attorno alla rócca per filare. Messa in funzione la rócca, quasi sempre dalle esperte dita della vecchietta, si otteneva un filo sottile per confezionare canottiere, magliettine estive, sciarpette, calzini ed altri capi raffinati...

LA MIETITURA
Verso la fine del secolo scorso i mietitori indossavano una ‘sàraca’, cioè un càmice di lino  bianchissimo e un vecchio cappello di feltro o di paglia.  Essi lavoravano dall’alba al tramonto e cantavano ed ogni canto era un inno di ringraziamento al buon Dio che riempiva le spighe di grano
o degli altri cereali. A mezzogiorno, i mietitori, stanchi e accaldati, si riunivano per una breve pausa in mezzo al campo e, tra battute spiritose e lunghe risate, consumavano il minestrone di pane e verdure che la pia massaia distribuiva a tutti con la gioia e il sorriso. La sera, un po’ prima
del tramonto del sole, i mietitori sfiniti, ma contenti, cercavano di vincere la stanchezza con canti e balletti, accompagnati dall’organetto a tracolla. Dopo la lunghissima giornata lavorativa si avviavano a piedi sui pendìi della collina verso il paese, percorrendo diversi chilometri di strada in
parte scoscesa e dirupata. Ma, prima di giungere alla vetta, sostavano in una zona detta ‘via Larga’ e lì di nuovo cantavano e ballavano in piena armonia. Riprendevano poi il cammino al suono dell’organetto. In piazza, davanti alla Collegiata di S. Maria Assunta, di nuovo balli e canti.
Qui un sacerdote, il Canonico don Alessandro, li rianimava con buone e sante parole. Ai primi del 1900 si abbandonò la ‘sàraca’ di lino che venne sostituita da un sacchetto di tela di color celeste chiaro. Vigeva allora una consuetudine che praticavano soltanto i ‘campieri’, cioè i proprietari
di terreni del luogo che coltivavano a cereali...

90 ANNI FA…
...dalla ‘trita’ 64 si è passati alla trebbiatura.
La trebbiatura come la battitura e la tritatura iniziava verso il mese di luglio, subito
dopo la mietitura. Innanzitutto si formava l’aia (in dialetto ‘aia’) con tanti e grossi mucchi di covoni
di grano, di biada, di orzo, intorno ad uno spiazzo abbastanza ampio per fare stazionare la trebbiatrice e il relativo motore. Un operaio era sopra la trebbia, vicino alla bocchetta, dove venivano introdotti i covoni con una abilità ed agilità ammirevole. Poco distante c’era
un altro operaio, spesso una donna, che raccoglieva i cereali e tagliava con un falcetto i ‘vàvuzi’ 65 dei covoni che venivano alzati da terra, dall’aia da un altro operaio con una forcina. Vicino c’erano
i padroni del cereale o altri operai ancora che avvicinavano i covoni da trebbiare. Il padrone della trebbiatrice, invece, con i sacchi dalla parte anteriore, dove si trovava un’apposita bacchetta, raccoglieva i chicchi di grano, orzo e biada e, infine, in base alla quantità delle ‘quarte’,
tratteneva il compenso che gli spettava, pari allora a una ‘quarta’ su ogni quindici...
Il molino
Oltre 90 anni fa, a Roccasecca-centro, non esisteva nessun molino e, per macinare il grano ed altri cereali, si doveva andare in località ‘La Fontana’, dove c’era un piccolo molino ad acqua, che funzionava soltanto nel periodo delle grandi piogge, d’autunno e d’inverno o alle Mole Abbadia, Mole Comuni, Mole Sante, in territorio del comune di Priverno ed a Prossedi. Il molino di ‘la Fontana’ disponeva di un piccolo laghetto artificiale e, ogni volta che doveva andare in funzione, si faceva cadere l’acqua sulle pale, le quali mettevano in movimento l’asse rotante, e, questo, a sua volta, ‘le prète’ 67. I resti di quel molino sono ancora visibili e tutta la zona vicina, circostante, è denominata ‘La Mola’. Durante la seconda guerra mondiale, quando la farina e il pane erano
razionati, quel molino, dopo tanti anni, tornò a funzionare, a macinare quei pochi cereali che poche famiglie disponevano, soprattutto il granoturco per la polenta. Il pane allora era veramente il re della mensa. Oggi quel molino non è più in funzione, è un cimelio di cui gli anziani parlano spesso. Finalmente nel 1925 a Roccasecca-centro fu installato un molino elettrico con due macine: una per il grano ed una per l’orzo, la biada, le fave e il granoturco...

DEI VECCHI FORNI FINO A 90 ANNI FA
I vecchi forni internamente erano circolari e potevano contenere 80 pezzi di pane per ogni infornata: pagnotte, pizze, canisciuni (calzoni imbottiti), ‘ventie’, ‘ciavarégli’, ‘pizzerósce’, ‘pizzòle’, ‘pizze do ‘ndrommappa’, ‘pizze có gli pompotòro’, ecc. Il piano su cui si introducevano le varie forme di pane era di mattoni di terracotta collocati in posizione orizzontale, mentre nella volta, nella
superficie concava, i medesimi mattoni refrattari erano posti in posizione verticale. Una porticina di forma quadrata in ferro era davanti all’altezza di un metro dal pavimento del locale. Questa piccola apertura veniva chiusa durante la cottura del pane o dei dolci...